Paura del cambiamento: da ostacolo a risorsa
Paura del cambiamento: da ostacolo a risorsa
Forse è semplicemente arrivato il momento di fare un passo verso di noi
I cambiamenti in generale e in particolare quelli che coinvolgono la sfera professionale, suscitano spesso paure e senso di incertezza, ansia e insicurezze, anche quando sono fortemente voluti e sentiamo che “proprio là” vogliamo andare. Quando sentiamo chiaramente dentro di noi che, dove siamo stati fino a questo momento, non vogliamo starci più.
Non si tratta di una fuga, è qualcosa di più e di molto diverso: è accorgersi che quell’esperienza di lavoro, quella professione o quel “modo” di lavorare, non ci appartiene più. È prendere atto che c’è una parte del nostro percorso che ha fatto il suo tempo ed è sano guardare tutto questo con onestà, orientando lo sguardo verso qualcosa che sentiamo essere più nostro e in linea con quello che siamo ora.
Non stiamo parlando di cambiamenti imposti dall’esterno o da altri (cambi di ruolo non voluti, trasferimenti o chiusure aziendali), stiamo parlando di quella spinta che nasce dall’interno e che ci invita ad andare verso qualcosa che riconosciamo essere più nostro. Questo può tradursi in un sano invito ad ascoltarsi e volersi bene, guardando con rispetto chi siamo ora e prendendo atto che, forse, qualcosa dentro di noi ci sta invitando a fare un passo diverso o in un’altra direzione.
La spinta al cambiamento infatti, spesso emerge proprio qui, nella sfera professionale: il nostro lavoro riveste infatti buona parte del nostro tempo e – che lo si voglia o no – è quello che ci configura un riconoscimento a livello sociale (lo sanno molto bene i lavoratori precari e le persone disoccupate). Quindi, se dentro di me sento che l’attività che svolgo non mi corrisponde più, questo mio sentire merita la mia considerazione più ampia, poiché si tratta di una richiesta che parte dal mio interno e parla direttamente a me, invitandomi a esprimere e sperimentare maggiormente chi sono in quello che faccio, non limitandomi più a pensarlo nella mente o desiderarlo soltanto nel cuore, ma con i fatti e nella vita. Ora.
Sappiamo che troppo spesso nel lavoro siamo calati in una realtà ristretta, nella quale lavorare si traduce nell’essere ed esprimere in minima parte ciò che siamo o che altri ci chiedono di essere, calati in contesti e dinamiche dove l’espressione di sé e spesso anche delle proprie capacità, sono aspetti votati al sacrificio.
Questo nei fatti si traduce nello “stare” in una vita poco propria e molto di altro: di quello che il contesto lavorativo e sociale ci chiedono di essere; in funzione e risposta a questo, spesso la voglia di cambiare, si concretizza nel lasciare un lavoro tutto sommato sicuro e rassicurante, per andare verso una realtà diversa e che sentiamo nostra, oppure un’attività simile, ma gestita autonomamente, nella quale la nostra autenticità ha modo di emergere. E l’idea di muovere questo passo ci spaventa e frena.
Perché messa subito in discussione dalla mente razionale.
Certo, cambiare lavoro rappresenta in senso lato una destrutturazione di quello che siamo stati fino a questo momento e di riorganizzazione di ciò che siamo ora, è una scelta che direttamente o indirettamente potrà coinvolgere anche altri settori della nostra vita ed è umano e comprensibile che davanti a un cambiamento, anche fortemente voluto, ma dai contorni incerti, si affaccino dubbi e disorientamento.
Diverso è permettere a dubbi e paure di bloccarci.
Questo accade quando non siamo pienamente consapevoli delle nostre potenzialità e risorse o abbiamo perso a poco a poco e magari senza accorgercene, l’attitudine e capacità di esercitarle.
Ogni cambiamento che si presenta nella nostra vita, che dipenda o meno da una nostra scelta, dona a ognuno la possibilità di sperimentarsi a 360 gradi e di mettere in gioco tutti i propri talenti e risorse, intuito e capacità di problem solving, attitudini che magari siamo abituati a mettere in campo in altri contesti, ma non con noi o in qualcosa di nostro.
Ecco è arrivato il momento di farlo!
Tentare l’impresa di reinventarci andando verso qualcosa che sentiamo nostro e ci gratifica, cambia l’assetto di quella che è la nostra vita.
Lo sappiamo. Ma la paura ce lo fa dimenticare.
Di fronte al cambiamento, la paura ci sposta direttamente nel futuro, generando ansia e prospettandoci ipotetici eventi negativi permeati da dubbi e sensi di colpa; timori che spesso non hanno un fondamento reale, ma trovano un varco aperto nella scarsa fiducia che abbiamo nelle nostre capacità, oppure quando siamo consapevoli dei nostri talenti, ma scartiamo a priori la possibilità di poterli vivere pienamente in una professione, autosabotandoci.
Allora cosa è consigliabile fare, o non fare, per vivere questo momento senza entrare nell’immobilità e nel circolo vizioso del rimuginare-rimandare, ma neanche buttarsi a capofitto in qualcosa di ignoto, cavalcando alla cieca l’onda emotiva della ribellione?
CAMBIARE PROSPETTIVA GRAZIE ALLA PAURA
Intanto cominciamo col definirla: la paura è uno stato emotivo di apprensione e avversione, che si verifica in presenza o vicinanza di un pericolo, reale o presunto.
Proviamo a viverla e attraversarla ancorandoci nel momento presente e cambiando prospettiva.
INCONTRARE LA PAURA NELLA NEUTRALITA’
Neutralità vuol dire non farsi travolgere da stati d’animo ed emozioni che fanno da deterrente al cambiamento e farseli alleati: guardare incertezze, paure e dubbi che si affacciano, per quello che sono: stati d’animo del momento. Punto. Sentire paura non vuol dire “essere la paura”, significa che in questo momento in me è presente un’emozione che mi destabilizza, ma che posso anche accogliere e vivere come una risorsa: se infatti la paura da un lato rallenta i miei passi, facendomi temporeggiare a oltranza, dall’altro mi offre uno spazio di tempo più esteso, che posso sfruttare per guardare meglio il mio progetto e nei dettagli, cogliendo magari aspetti che non avevo considerato.
Sta a noi la scelta di “come” e “se” impiegare in modo funzionale il “tempo in più” della paura.
Vedere e considerare se c’è qualcosa nella mia attuale posizione lavorativa che posso modificare o che dipende da me, ma che non sia soltanto un mio cambio di atteggiamento per “fami andare bene” una situazione che rimane comunque disfunzionale per me.
Cambiare atteggiamento o aspettativa rispetto a qualcosa è utile, ma non risolve il problema alla base, se la base non è quella giusta.
Una volta valutata questa possibilità, spostare la nostra attenzione e capacità di analisi sull’opportunità verso la quale siamo diretti: sentire quanto è realmente nostra, riconoscendo e accantonando idee preconcette e paure che non appartengono a noi, ma arrivano magari da altri, o da ambienti esterni.
Andare verso un nuovo progetto, non significa andare contro qualcosa o qualcuno, ma avvicinarci a noi stessi e a ciò che siamo ora. Ricordiamolo.
Focalizziamoci quindi sulle ragioni reali, autentiche, che ci spingono in una determinata direzione, valutando obiettivamente se il cambiamento che vogliamo mettere in atto è realistico e orientato a esprimere concretamente noi stessi e le nostre capacità, oppure è mosso da reazioni del momento, scarsa obiettività e quindi poca possibilità di attuazione o successo.
Le fasi di preludio ai cambiamenti rappresentano anche un ottimo momento per riconciliarci con quella parte di noi che smania per avere tutto sotto controllo, quando sappiamo benissimo che non abbiamo il controllo di nulla e che tutto, da un momento all’altro può cambiare.
Guardare la nostra scelta con neutralità, ci consentirà comunque e in ogni caso di vederla più chiaramente per quello che è: se realmente mi appartiene, sarò rassicurato nel mio intento, in caso contrario potrò riconsiderare la cosa e, se lo ritengo, lasciarla andare.
In entrambi i casi la scelta sarà fatta da me. Non dalla paura.
INCONTRARSI NEL SILENZIO, ASCOLTANDO ANCHE IL CORPO
In un primo momento tenere la cosa per noi, senza chiedere pareri o consigli a tutti. Il confronto è utile e può regalare ottimi spunti di riflessione, ma potremo farlo se lo desideriamo, in un secondo momento.
La scelta che stiamo valutando riguarda noi e la nostra vita, diamo spazio in primis alla nostra voce interiore.
Ricevere tanti input e consigli in questa fase, può creare caos, dubbi inutili e ansia, come ascoltare le voci di un coro disarmonico, che suona una musica, che non sentiamo nostra. Infatti non lo è.
Quindi prima ascoltiamoci e poi, se crediamo, chiediamo uno o più pareri esterni, anche a un terapeuta, se riteniamo possa esserci di aiuto, preferibilmente specializzato nella tematica che stiamo attraversando.
Far germinare – e non rimuginare – la nostra idea, vuol dire darle fiducia, donandole lo spazio per crescere, senza soffocarla e non guardarla (o giudicarla) soltanto con l’occhio della mente razionale, che va bene, ma può essere limitante, ma provare a sentirla anche a livello fisico, utilizzando il corpo come strumento di lettura.
Dal nostro spazio di neutralità, proviamo quindi a domandarci:
- Che cosa sento, a livello fisico, quando sono calato nella realtà che vivo ora?
- Ci sono disagi, tensioni a livello muscolare, magari nella zona dello stomaco o del petto, che si presentano solo in determinate situazioni?
- Cosa sento a livello corporeo, quando mi vedo o immagino nella scelta professionale che vorrei seguire?
- E quando vivo i miei “spazi per me” o esprimo nel concreto il mio lato creativo?
Possono sembrare domande banali, che magari già ci facciamo, ma proviamo ad ascoltare se anche il corpo ha qualcosa da dirci in merito, riflettendo sulle possibili risposte che arrivano.
La mente può mentire – il corpo no e può donarci una chiave di lettura in più. Solo nostra e personale. Proviamo a prendere più familiarità con questo tipo di ascolto. E vediamo cosa succede.
USCIRE A TAPPE DALLA ZONA CONFORT
Considerare se per un periodo di tempo limitato, è possibile svolgere l’attuale attività lavorativa e nel frattempo sperimentare – anche in parte – la strada che vorrei intraprendere. Stare quindi nelle due realtà contemporaneamente. Questo non sempre è possibile, ma non è neanche un’ipotesi cosi remota come sembra. È senz’altro più frequente quando si tratta di trasformare una passione in lavoro.
In ogni caso, che l’ipotesi di una “doppia via” sia praticabile o meno, è consigliabile e di aiuto vivere e “stare dentro” da subito all’attività che ci appassiona in modo nuovo e da un’ottica che la vede realizzabile, con uno stato d’animo che la accoglie come possibilità concreta, non relegandola solo a passione o passatempo.
La nostra predisposizione interna è determinante per la sua realizzazione.
Sfruttiamo poi il periodo di dubbi e incertezze, stando pure nella zona confort, ma in modo funzionale: valutando i costi fissi che implica realizzare il mio progetto e facendo anche una stima dei costi variabili. Tutto questo considerando in modo realistico i tempi di attuazione.
In questo momento può essere di aiuto chiedersi e rispondere con sincerità:
- Quali rischi reali e quali conseguenze – non ingigantite o falsate dalla paura – comporta la mia scelta?
- Quali sono le ripercussioni in termini di benessere psicofisico che comporta rimanere dove sono?
(la risposta a quest’ultima domanda, potrà essere arricchita dall’ascolto dei messaggi del corpo del punto precedente).
UNO SPECCHIO DAL PASSATO
Tornare in un posto che sentiamo nostro e che per noi ha un significato particolare, specifico e profondo, dove magari non andiamo da tempo.
Può essere un luogo della nostra infanzia, oppure un ambiente che ha fatto da sfondo a uno o più momenti per noi significativi.
Fare questo ci riporta con la memoria a chi eravamo e può farci vedere meglio chi siamo ora, aiutandoci a guardare meglio come stiamo e se siamo diretti verso qualcosa di realmente nostro.
ANDARE VERSO IL CENTRO. DELLA QUESTIONE? NO: DI ME.
Staccarmi dal pensiero fisso della scelta, ritagliandomi spazi, anche brevi, soltanto miei. Meglio se quotidiani.
Momenti nei quali sono raggiungibile soltanto da me.
Cellulare spento quindi, non silenziato. Spento!
In questo modo comunichiamo un segnale importante non soltanto all’esterno, ma soprattutto al nostro interno: cioè che possiamo permetterci di “non esserci sempre”. E il mondo non crollerà per questo.
In questi spazi dare modo alla nostra creatività di manifestarsi, facendo qualcosa che ci appassiona e che magari abbiamo accantonato: un hobby, uno sport che ci piace… qualcosa che ci fa stare bene “dentro” e ci porta al nostro centro, spostandoci dal pensiero fisso del “cosa è meglio fare”.
La pratica di consapevolezza Mindfulness (richiamo al mio articolo) può rappresentare un valido aiuto e può esserlo anche trasformare un momento specifico del quotidiano in un appuntamento nuovo e imprescindibile con noi stessi.
Anticipare il risveglio mattutino e fare della colazione un piccolo rito con sé se stessi, preparando con cura la tavola, magari la sera prima, scegliendo i colori e i dettagli che faranno da sfondo a questo momento.
Anche la doccia o il bagno serale, prepararsi una tisana la sera, possono trasformarsi in uno spazio di amore e cura, che ci riporta alla nostra interiorità e alle nostre esigenze più autentiche.
Questi gesti possono diventare un momento di amorevolezza per noi e per gli spazi in cui viviamo, se mossi con intenzione diversa.
Sta a noi la scelta del momento e la modalità per renderli un appuntamento unico, con noi e per noi: la serenità che ne deriva sarà una preziosa alleata nel nostro modo di attraversare momenti anche difficili e pieni di incognite, aiutandoci ad andare incontro ai cambiamenti allineati a ciò che siamo.
VIVERE IL CAMBIAMENTO CON LA FLORITERAPIA AUSTRALIANA

Per attraversare con serenità, animo fiducioso e rinnovato spirito di adattamento le nostre fasi di passaggio e cambiamento, è utile
- In diluizione opportunamente preparata –
L’ESSENZA FLOREALE AUSTRALIANA BOTTLEBRUSH (Callistemon linearis)
7 gocce la mattina e 7 gocce la sera
Siamo qui per sperimentare la bellezza di ciò che siamo